giovedì 2 aprile 2015

30 anni in fumo

Non ho mai considerato seriamente il fatto che la sola immagine del fumatore abbia influenzata la mia vita almeno quanto il fumo passivo assorbito durante l'infanzia; e dico, MAI, fino ad ora;
il prossimo ottobre ricorrerà il trentesimo anniversario del mio primo joint, che mi fu offerto da un caporale istruttore (una figura ormai in disuso) in caserma; allora ero un tabagista e un bevitore sociale, e avevo 19 anni; l'avvento dell'hascish fu una vera rivoluzione anche in termini di salute, infatti la mia condizione cronica di asmatico iniziò a migliorare sensibilmente, e da allora non ho più avuto bisogno di (altri) farmaci per sopprimere un attacco d'asma; di fatto, non ne ho MAI più avuto uno, e sono completamente guarito da quella condizione causata in origine dall'acaro della polvere, e inevitabilmente peggiorata in maniera esponenziale dal vizio delle sigarette. 

Oggi le virtù terapeutiche della canapa sono decisamente più note anche al pubblico non-consumatore, quando un numero sempre maggiore di nazioni ha resa disponibile legalmente questa cura naturale e priva di controindicazioni in alternativa ai farmaci di sintesi per combattere una quantità di patologie più o meno gravi, comprese le più gravi in assoluto. Ma nel 1985 il più noto derivato della "marijuana" -il termine di origine messicana per definire le infiorescenze di canapa- così come il suo più diffuso derivato di origine africana composto della resina delle stesse, chiamato "hascish", erano per noi --"drogati legali"-- soltanto due "droghe illegali" come ogni altra sostanza disponibile sul mercato nero della droga. 

In pochi erano o sembravano a conoscenza delle tante proprietà benefiche di questo vegetale, e sicuramente tra i pochi c'erano molti medici, che si sarebbero guardati bene dal rivelare ai loro pazienti il "segreto" noto all'uomo dall'alba dei tempi fino al 1937, quando di fu un "boom" di quelle stesse malattie che oggi sappiamo essere curabili con i cannabinoidi, compreso il cancro. Tutti i medici "sponsorizzati" dalle case farmaceutiche, che sono divenute colossi dell'industria durante il regime proibizionista, si sono arricchiti spacciando ai pazienti droghe di sintesi spesso basate sui principi attivi estratti dai vegetali, quando per un numero indefinito delle malattie più diffuse una soluzione sicura ed efficace è stata sempre e soltanto l'infiorescenza della canapa.

I fumatori, o "consumatori abituali" della mia epoca (così come nei quasi 50 anni precedenti, nel secolo scorso) si limitavano ad apprezzarne gli effetti 'psichedelici', per lo stato euforico, di creatività, rilassamento e "apertura mentale" prodotto dal fumo, perlopiù ignari dei principi attivi terapeutici ottenuti assieme a quello che si considerava comunemente uno "sballo" leggero, rispetto a quello delle droghe "pesanti" come eroina e cocaina. Oggi sappiamo ad esempio che tabacco e alcool, le sostanze legali più abusate nel mondo e monopolizzate dalla maggior parte dei governi, sono di fatto droghe pesanti, che creano cioè una dipendenza fisica oltre a danni gravi anche -o soprattutto- a livello mentale, a partire dallo stato di dipendenza stesso.



In fondo l'abbiamo sempre saputo così come, istintivamente, abbiamo sempre saputo riconoscere gli effetti benefici della canapa (anche nel caso di un "drogato legale" schiavo di tabacco e alcool!); ma anche in questo caso siamo sempre stati assoggettati e sottomessi alle leggi, che hanno sempre dettate le regole della vita  sociale e le abitudini del consorzio umano al di là di ogni possibile errore di fondo, come il rendere disponibili sostanze dannose e pericolose (compresi i "farmaci") ad ogni angolo di strada e proibire una "sostanza" -di fatto, una pianta- che a ragion veduta si può ben definire una panacea.

Inutile ribadire ancora che un simile "errore" si è rivelato estremamente fruttuoso per intere categorie professionali, ed è la pietra angolare di una fiorentissima industria che contribuì in maniera decisiva all'avvento del proibizionismo stesso, una mostruosa lobby globale che comprende vari settori dal petrolifero al tessile, oltre i farmaci e le "droghe concorrenti" legalizzate e/o monopolizzate. Resa illegale, anche una pianta che peraltro era una delle più coltivate nel mondo -anche e soprattutto in Italia- fino ad allora è divenuta, come ogni cosa 'rara', estremamente ricercata e costosa, e quindi remunerativa oltre ogni (lecita) misura per i suoi commercianti; così come quelle commerciali, le implicazioni politiche e legislative di questo stato di cose sono tutte talmente ovvie e prevedibili che non starò a ripeterle qui per l'ennesima volta, ma sono comunque un ottimo soggetto di riflessione per il mio lettore, sulla base di questo mio succinto excursus storico.
Per la Storia completa, consiglio ancora una volta l'opera di Jack Herer "The emperor wears no clothes", forse il testo più esauriente e dettagliato su questo argomento.


Ma torniamo alla immagine, alla figura del fumatore, che oggi osserviamo con questa consapevolezza "scientifica" riguardo gli effetti deleteri ed esclusivamente negativi delle "droghe legali", rispetto a quelli del potente farmaco universale (ca/na/pa = pa/na/c-e-a) proibito dalla forza della legge opposta a quella della ragione, contro il buon senso e il benessere comune. E' stato soprattutto il cinema, ben prima della televisione, a diffondere l'immagine del fumatore attraverso una propaganda continua, ininterrotta  e inesorabile delle droghe legali, che ha coinvolte praticamente tutte le generazioni di produttori, cineasti e attori a partire dal boom del cinema come 'arma di distrazione di massa', con la fondazione delle 'majors' di Hollywood e dello "star system".



Come ho spesso ripetuto nelle mie recensioni cinematografiche, il prodotto particolare, il marchio di fabbrica, nel cosiddetto 'product placement' non è mai stato determinante in questa annosa ed efficacissima opera di intossicazione massiva che attraverso la suggestione delle immagini, attraverso modelli di grande impatto emozionale e psicologico, ha diffusa l'abitudine alle peggiori droghe in circolazione nella vita quotidiana di miliardi di consumatori; e poco importa che fosse la Philip Morris o la R.J.Reynolds, la Martini&Rossi, la Cinzano o la Budweiser a finanziare il 'posizionamento del prodotto' nelle immagini viste dagli spettatori di tutto il mondo, i protagonisti dei films hanno sempre avuta una certa debolezza proprio per quelle stesse droghe legali del monopolio statale che nella vita reale hanno resi schiavi e malati miliardi di individui di ogni età, sesso, razza, classe sociale e religione.


Oggi possiamo guardare ai 'cowboys' come John Wayne e Gary Cooper, ai poliziotti -così come ai gangsters- dello schermo, come Humphrey Bogart e Robert Mitchum, e alle protagoniste muliebri di tanti film hollywoodiani come comuni tossicodipendenti, che invece di iniettarsi una droga la inalavano da piccoli cilindri di tabacco, arrotolato in un foglietto di carta e incendiato, oppure trangugiandola direttamente in una forma liquida (quella dell'alcool, non della nicotina); questa è una immagine forse meno romantica, ma sicuramente più onesta e realistica degli interpreti di tanti 'sogni commerciali', che hanno influito in vario grado sulla vita quotidiana di tutti noi semplici spettatori, generazione dopo generazione. Spesso gli attori non fumavano nemmeno nella vita privata, ma lo facevano per contratto, e in alcuni casi sono divenuti schiavi del tabacco per motivi professionali, per una abitudine presa sul set attraverso i personaggi che impersonavano e che dovevano infondere il fascino irresistibile del fumo nelle platee di tutto il mondo, assieme alla tentazione sempre viva, presente in ogni locale pubblico, dell'alcool.


Sicuramente i protagonisti della 'vecchia Hollywood' sono stati responsabili in qualche misura anche dei vizi assunti dai miei genitori, così come lo furono per i loro genitori quando la fascinazione del cinema era ancora più spropositata, prima dell'avvento della televisione e dell'"era dell'immagine", o "videosfera", in cui i protagonisti della 'nuova Hollywood' hanno fatta la loro parte. I fum-attori sono riusciti nell'intento dei produttori, nella propagazione universale di quelle abitudini malsane che creano di fatto una dipendenza fisica e psicologica a determinate sostanze tossiche, su un numero immenso di spettatori tra cui i miei giovani, innocenti e inconsapevoli genitori, che vedevano fumare sugli schermi tanti giovani, colpevoli e consapevoli protagonisti degli schermi grandi e piccoli, i quali di contro erano tanto belli, aitanti, sorridenti e pieni di  salute; almeno in apparenza.


Non so quanto abbia influito su di loro il contatto diretto con la "sostanza", cioè il fumo in forma passiva, attraverso i loro genitori, ma sicuramente questo funzionò perfettamente nel mio caso, in cui oltre le infinite 'suggestioni' del product placement cinematografico fu determinante l'intossicazione passiva che aveva luogo in tante case -e prima ancora, addirittura nelle sale cinematografiche- tra gli anni '60, '70 e '80, prima che l'idea stessa dei pericoli del fumo passivo sfiorasse le nostre menti affumicate...



Da tempo non fumo più le sigarette del monopolio, ho scelta una marca di tabacco 'naturale' che dovrebbe contenere meno agenti chimici di quelli utilizzati per le sigarette e, almeno a giudicare dall'aroma, direi che il processo ammoniacale delle fabbriche di sigarette, un trattamento che rende immediatamente bio-disponibile la nicotina e trasforma il tabacco in una droga pesante  ci viene risparmiato; per il resto, non ci giurerei, perchè non ho mai coltivata una pianticella di tabacco in vita mia, è una cosa illegale. 
Da tempo -un po' di meno- non fumo nemmeno più una sigaretta per avere soltanto la mia dose di nicotina, come fa in genere il tabagista incallito; mi sono reso conto che fumare carta e tabacco non mi piace, e che probabilmente non mi è mai piaciuto, malgrado la mia longeva tossicodipendenza 'legale'.
Per me quindi oggi i protagonisti di tanti films passati presenti e futuri, così come tutti i tabagisti, sono soltanto dei tossicodipendenti di serie B, schiavi del tabacco che osservo drogarsi sugli schermi con una certa, tiepida compassione, ricordando il me stesso del passato, cliente fisso (come un chiodo) della Philip Morris per venti o trent'anni...


Conoscendo le sigarette e l'alcool come le più diffuse tra le sostanze d'abuso, essendo commerciate legalmente e dovunque, e conoscendone per esperienza diretta gli effetti tutti invariabilmente negativi sotto ogni aspetto, non posso che provare pena per chiunque sia incatenato a questi vizi, che siano attori, lettori o dottori, così come provo un immediato senso di complicità amichevole nei confronti di chi utilizza la canapa e i suoi "derivati"; oggi tutti gli 'eroi di celluloide' pagati dalle majors per fumare sul set di tanti films mi appaiono come i personaggi di un mondo perduto, malsano, governato dall'ignoranza e dall'avidità; figure che per la loro stessa natura (altamente infiammabile, e quindi sostituiti nel 1954 da eroi di poliestere) sono pronti a svanire da un momento all'altro in una nuvola di fumo.

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