lunedì 5 maggio 2014

Yokatta!

Kinuyo Tanaka è la protagonista di


西鶴一代女-- Saikaku Ichidai Onna (The Life of Oharu) di K. Mizoguchi (1952)
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altro capolavoro di Sensei Mizoguchi con la preziosa collaborazione di due Yoshimi (Hirano e Kono) direttori della fotografia; la saga della povera donna destinata all'infelicità e all'umiliazione raggiunge anche grazie a loro picchi di altissima cinematografia; ancora nobiltà decaduta e ancora compravendita di anime, in una odissea di disperazione e strazio puro, espresso anche sonoramente in alcune canzoni ben disposte nella narrazione; anche in questo caso, l'eccesso di fotogrammi raccolti è sintomatico:













è tutto da vedere

Tra l'altro, notiamo anche qui la "presenza dell'assenza", ovvero, la scena che resta vuota per un istante prima della sequenza successiva (o più raramente appare vuota per un istante prima dell'entrata in scena degli attori) come avevamo già notato -forse leggermente più sostenuta- in 東京物語 (Tōkyō Monogatari) di Ozu, che uscì l'anno seguente; è qualcosa di raro nel mondo del cinema, e il fatto che ricorra nell'opera di due autori contemporanei Giapponesi può essere finanche sospetto.




comunque sia, è una delle trovate più efficacemente drammatiche nella storia del Cinema, e chi l'abbia utilizzata per primo è relativo solo alla curiosità del mio lettore.

Con l'irriconoscibile Toshiro Mifune

 as Katsunosuke;

c'è questa sequenza, nella parte finale, in cui i fermagli nei capelli di Oharu risplendono alla luce del sole creando uno strano effetto di rifrangenza, quasi irreale: 



Ancora mi chiedo se l'apparente inarrivabilità di Ugetsu (1953) non fosse piuttosto dovuta all' entusiasmo e alla novità dell'incontro con questo vero, grande Maestro del cinema; ma tutto sommato devo ammettere di non nutrire per la categoria qui descritta la medesima simpatia dimostrata da Mizoguchi sul set e fuori da esso; e che meno categoricamente, si può estendere all'intero genere femminile. Al di là delle simpatie personali, o generali, l'estrema tragicità muliebre (e Nipponica) delle vicende e il rigore non-pittorico della messinscena sembrano contrastare il potere magnetico di quella alchimia raggiunta nell'opera successiva, e che tutt'ora mi risulta insuperata. Ma ovviamente la ricerca non finisce qui... 
Un Inno al cinema, da vedere in lingua originale, e possibilmente su uno schermo più grande di questo.
Oharu mi ha insegnate due nuove parole in Giapponese: bunraku, di cui vediamo una rappresentazione


e yokatta, che è un titolo perfetto per questo post.

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