mercoledì 1 gennaio 2014

Bellezze spaventose

A 9 anni Adèle Exarchopoulos fu spedita dai genitori a scuola di recitazione per "curare la sua timidezza"; a vent'anni è stata protagonista della "scena di sesso lesbico più dettagliamente esplosiva di recente memoria" secondo Justin Chang di Variety, che probabilmente fa riferimento alle antiche memorie della dinastia Ming;
in questo film:

La vie d'Adèle di A. Kechiche (2013)
☻☻☻+
saranno finalmente contenti i genitori di Adèle? Lei sembra che non lo sia, e con la sua collega di set hanno definita la produzione un'esperienza "orribile" affermando di non voler mai più lavorare con il regista, il franco-tunisino Abdellatif Kechiche; ecco infatti i tre fotografati a Cannes, dove sono stati tutti premiati:


Una cosa è certa per il blogger: che non avrei mai letta la storia a fumetti omonima di Julie Maroh non tanto per il mio completo disinteresse nei confronti delle storie di passione lesbica, quanto per la bruttezza pura e semplice delle tavole:

e tantomeno avrei mai volto vedere un film di tre ore tratto dal fumetto di un amore lesbico, se non avessi letto più e più volte il titolo in varie liste dei "migliori del 2013" reperite qua e là su internet;come sempre, ho voluto conoscere il meno possibile del film, e trovandomi a guardarlo tutto -con l'aiuto del tasto FFWD per quella famosa scena "bollente" e "chirurgica" di sette minuti- fino alla fine, ho dovuto ammettere il valore meta-scandaloso dell'opera, che consiste in una straordinaria direzione del cast, e due interpretazioni femminili talmente intense e convincenti che per la prima volta nella storia del Festival si sono meritate entrambe la palma;


se le accuse delle attrici hanno un fondamento, e davvero sul set hanno subite delle "molestie morali"  che hanno fatta sentire la Exarchopoulos "come una prostituta" (cosa non difficile da credere, vedendo il suo trasporto durante l'atto, ma non è un sentimento a me familiare) 


forse ci vorrebbero più aguzzini simili sul set,  o forse più registi tunisini dietro la MdP, perché non riesco nemmeno a immaginare cosa avrebbe potuto essere un film di questa stessa forza basato su un soggetto che avesse potuto interessarmi anche solo minimamente; una ipotesi che ovviamente non ha alcun motivo di essere al di fuori di un post su un blog


la prova di entrambe "les biches"  è ugualmente ammirevole, ma in part. la "ex-timida" A.E. raggiunge picchi di  una intensità rara nella storia della recitazione moderna

Il moccio è sintomo di grande talento naturale
lasciandomi coll'impressione che il sangue Ellenico nelle sue vene contenga una alta percentuale di pura tragedia, tramandata geneticamente dall'esordio del teatro stesso;
anche il contributo del DoP Sofian El Fani è encomiabile non per le sue particolari prodezze colla MdP ma al contrario perché essa, come disse qualcuno, "non sembra esserci";
raramente si è instaurata al cinema una simile intimità, fra vagine prostetiche,  crisi bulimiche e pisolini "rubati" dalla MdP, tra l'osservatore e l'oggetto filmico, incarnato pienamente da Adèle; 


certamente anche il tempo di lavorazione prolungato e l'incredibile quantità di girato hanno contribuito alla buona riuscita dell'opera, e forse in questo caso il merito più trascurato, ma non trascurabile, è quello delle due montatrici; infine, malgrado il mio ruolo di blogger, avrei volentieri evitato di guardare lo straziante dramma iper-realista di un amore lesbico della durata di tre ore tratto dal (brutto) fumetto scritto e disegnato da una donna Francese e diretto da un Tunisino; e mi sarei perso, ahimé, uno dei migliori film del 2013; devo aggiungere altro?
Vincitore tra l'altro del premio Louis Dellouc come "meilleur film français de l'année", è certificato all'89% "fresh" su Rottentomatoes, dove la mia recensione-in-pillole preferita è quella di Mr. Schwartz:
"Bold coming-of-age lesbian drama, that makes you care about its young heroine."

A-ha! But it really works!



La grande bellezza di P. Sorrentino (2013)
☻☻☻☻

è un film infinitamente suadente, che si impone da subito come un vero capolavoro del cinema perché non parla d'altro che di cinema, non esprime altro che cinema, e lo fa in una forma talmente "pura" e con uno stile tanto raffinato da provocare dei veri e propri brividi nel blogger cinefilo;


il fatto che lo scenario sia quello di una Roma post-borghese (e ancora sinonimo di borghesia) e post-felliniana 


in una metropoli felliniana di per sè


 e non quello di Cinecittà, un contesto "umanistico" e non "biografico", eleva l'opera oltre sé stessa, anche grazie al tour-de-force di Servillo


supportato da un cast efficace fino all'ultimo cameo;


La grande bellezza non è un film intelligente, o commovente, coinvolgente o avvincente, e quindi interessante in alcun modo che non sia al di sopra della narrazione, e del "viaggio" stesso in previsione dell'arrivo, della dissoluzione di tutti i micro-cosmi rappresentati dalle classiche "macchiette" Italiane, ma fortemente Romane, di cui è costellato il film, ognuna patetica, buffa, tragicomica, eccentrica e ordinaria, e tutte loro allo stesso modo secondarie, mediocri, dove troviamo l'intera iconografia della cultura multimediale nazionale, dal protagonista re del trenino mondano alle spogliarelliste passatelle

quella sgualdrappona della Ferilli col suo abito quasi-adamitico (o evitico?)
dalle "ex-soubrettes" in disfacimento

la povera Serena Grandi as "Lorena"
fino ai principi decaduti e ai vescovi, che non decadono mai; (più di tanto, non si può)

("Fate a pezzi il coniglio", è il consiglio)
La grande bellezza è un viaggio, come premesso in partenza, attraverso Roma e attraverso il cinema, che vediamo finalmente ri-utilizzato nel Belpaese come mezzo di espressione artistica su uno scenario che è arte, da un uomo dedicato all'arte, con una compagnia di artisti che ha riabilitato nel giro di 2 ore il nome del cinema Italiano nel mondo, e per questo il blogger gli è molto sinceramente grato;


il mio nuovo anno da cinefilo non avrebbe potuto iniziare meglio; questa è forse la prima volta che rischio di commuovermi per il film stesso, e la sua Grande Bellezza, senza nemmeno ricordarmi il nome del (l'indimenticabile) protagonista.  

Il patologico Verdone
Splendido, è un aggettivo che non avevo mai utilizzato per definire un film, e sono lieto di poterlo fare in questa occasione. Il fatto poi che abbia sinceramente detestato il precedente This must be the place (2011) in questo post è per me la conferma definitiva del valore di quest'opera.

Infine, ripensando al breve bestiario evidentemente digitale del film



il mio io naturista conclude il discorso con le stesse battute di Servillo da cui è tratto il titolo, "Cercavo la grande bellezza... Non l'ho trovata."; anche nella più bella e maestosa delle città, dove è possibile trovare una qualche sorta di bellezza -e Roma certamente ne ha- sarà sempre una riproduzione, un artificio, pregevole in quanto tale, ma non sarà mai una vera, viva, Grande Bellezza
Quella rimane fuori le mura, dov'è sempre stata.

L.A. è di nuovo primadonna in


City of Fear di I. Lerner (1959)
☻☻
un film estremamente kosher, a partire dal nome del regista, e dove l'irsutissimo protagonista


Vincent "Vince Edwards" Zoino, figlio di un manovale Italiano, che pronuncia la straordnaria, auto-ironica battuta: "I'm not an animal... i'm a man, i want things. Especially you!" -- Ecco qui riassunta in una battuta la differenza tra uomo e animale, il desiderio di cose che in genere non si possono avere. Non facilmente, almeno. E in genere, al di là della loro accessibilità, di cose del tutto inutili.


Ma la minaccia che incombe sull'umanità (di L.A.) va oltre il fenomeno del consumismo. Il film, classificato come noir da Wikipedia, difetta però dell'elemento che è in genere il movente del genere, ovvero il sesso; al contrario, è una corsa disperata e ininterrotta contro la morte rappresentata da una comoda confezione metallica di Cobalto 60, la quale ha il lieve difetto di non trattenere le mortali radiazioni emanate dal proprio contenuto... e che lo sprovveduto scalzacani evaso di fresco crede essere eroina pura (stranamente chiamata "snow", che non è certo il nomignolo più popolare per questa sostanza)


Il film ha fra i suoi rari pregi la direzione della fotografia di Lucien Ballard (The Lodger, The Wild Bunch) in un bianconero molto contrastato, che si rifà appunto agli stilemi di Musuraca



e un po' espressionismo tedesco


con qualche sprazzo di realismo "moderno"



a tratti "artistico"


e di sfondo la lieta, spoglia Hollywood dell'epoca




e con  la colonna sonora quasi-jazz di Jerry Goldsmith (Planet of the Apes, Alien) che anticipa tutti i temi televisivi del poliziesco possibili e immaginabili (e anche certe sigle dei TG =)


Il tema del film con il triste assolo di tromba ricorda immediatamente quello di Alien (1979)
Nessuno nel film si chiede come mai del granulato di cobalto 60 sia finito nelle mani del desperado ipertricotico, in luogo della ambigua "neve" che rappresentava per lui la salvezza e la speranza di un futuro migliore; ma se non l'hanno fatto loro all'epoca, non vedo perché dovrei farlo io adesso.

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